HI-FIGUIDE | Guida italiana all'alta fedeltà esoterica ed hi-end internazionale | Rivista di approfondimento sui temi audio
E-Copmmerce | Acquista | E-Shopping Home Web Edition | Indice On-Line Progetto Servizi Chi siamo Registrazione Newsletter | No Spam! Invia posta Tutto HFG!

HFG MUSIC | RECENSIONI MUSICALI | JAZZ STRUMENTALE

Cerca

HOME | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6

JAZZ STRUMENTALE | Max Roach - We Insist! Freedon Now Suite  1 | 2 | 3 | 4 | 5 

(Continua da pagina 3)

perfette. Una voce che ha il potere di parlare direttamente a chi ascolta, annullando tutte le distanze. Del Jazz è stato scritto che "non puoi mentire, questa musica dice realmente chi sei" e la signora Lincoln è una Negra (come lei stessa si definisce), per di più una negra orgogliosa di questo status; la sua voce attinge direttamente dalla sua anima parlando al mondo intero del dolore e delle ingiustizie che la sua gente ha dovuto sopportare in secoli di storia e "civiltà".
La formazione base di We Insist! è un ottetto: oltre alla voce, alla batteria, al sax tenore, gli altri strumenti sono tromba, trombone, contrabbasso e percussioni. L'album nel suo insieme, un caleidoscopio di influenze musicali black che fanno il giro del mondo.

Iniziamo con la mia Goldring che si appoggia sul disco, le prime modulazioni che incontra sono quelle di Driva'man. Il primo brano introduce immediatamente atmosfere africane, le percussioni sono un inarrestabile richiamo alla negritudine, al tribale. Inizia una figura di contrabbasso e poi l'esplosione vocale di Abbey Lincoln. Il brano è ambientato alla fine del XIX secolo, la storia è quella di un gruppo di schiavi neri controllati dai loro driva ovvero i caposquadra bianchi che abusavano in tutto, anche sessualmente delle donne. I monosillabi della Lincoln invocano rispetto e maledicono il padrone, l'assolo del sax di Hawkins rappresenta la controparte: un recinto inviolabile per chi è sottomesso, un muro con note al posto dei mattoni.

Prosegue Freedom Day. Rimaniamo nel XIX secolo, precisamente nel 1863. Il governo americano redige la "Proclamazione di Emancipazione dei Neri". Il brano personifica le aspettative (successivamente in parte disattese) dei figli dell'Africa. La voce della Lincoln si arrotola su parole profonde, insofferenti, impazienti di uscire. Segue la celebrazione: i

passi sicuri del contrabbasso, il battito cardiaco della batteria, l'esplosione del sax di Hawkins, gli schiamazzi del tamburello basco.

La successiva Triptych è una suite in tre movimenti: Prayer, Protest, Peace. Originariamente concepita per un balletto, concede molto all'improvvisazione. Batteria e voce solamente: i Mr. e Mrs. Roach diventano due acrobati che camminano sul filo dell'emotività. I vocalizzi della Lincoln viaggiano eterei, inafferrabili come il fumo. Assecondata dalla ritmica, quella di Abbey è una voce che rapisce il cuore.

Prayer è il canto delle persone oppresse; è la preghiera con la quale ci si rivolge al Signore, chiedendogli aiuto con tutta la forza di cui si è capaci. Protest è l'esternazione, l'esplosione di una rabbia tenuta dentro per tanto, troppo tempo; una rabbia violenta, una voglia di reagire che diventa furia cieca: la batteria perde il controllo e la voce di Abbey inveisce contro tutto e contro tutti. Arriva Peace, rilassamento e soddisfazione per aver lottato e vinto per la libertà. Finalmente liberi, si assapora la vera gioia di vivere; la batteria riaggancia il dominio del tempo e la voce si fa dolce.

Il lato B inizia con All Africa. Un inno alla fierezza degli uomini dalla pelle nera, fierezza di portare dentro un patrimonio culturale enorme. Inizia la voce mielata della Lincoln che elenca i nomi delle diverse tribù africane, il percussionista Olatunji le risponde nel suo dialetto Yoruba con parole inneggianti la libertà. La batteria di Roach è affiancata dalle congas e dalle altre percussioni tradizionali di Mantillo, Du Vall e Olatunji stesso. Il tappeto ritmico di All Africa si rifà al padre di tutti i continenti per una specie di "regressione artistica" in direzione delle Work Song dei primi del Novecento, con le quali, gli schiavi intonavano canti collettivi con reciproci chiama-e-


(Continua a pagina 5)

 

All Rights Reserved ® Copyright © | Francesco Piccione | 1998/2012