|
|
|
|
|
|
(Continua da pagina 2)
rassegna di libere associazioni impossibili da tradurre in modo sensato, frasi al rovescio, parole ritoccate in virtù di sonorità più onomatopeiche e scritte così come si pronunciano. Complementi ideali delle complesse poliritmiche in tempi dispari di basso e batteria, delle linee di chitarra che avanzano a colpi di machete in direzione di una jungla musicale inesplorata e dalla introduzione continua di nuove linee melodiche nell'ambito dello stesso brano. L'ascolto di TROUT MASK REPLICA conferma lo spostamento verso nuovi lidi. L'esplorazione stile Jam lisergica ed improvvisata, filo conduttore del precedente album MIRROR MAN viene abbandonata per uno sbriciolamento estremo: ventotto canzoni dalla durata media di tre minuti. Per contro, nelle liriche riaffiorano le paranoie e le fissazioni ancestrali di DON: le manie per elettricità, polvere e l'azione del succhiare; tutte e tre residue del periodo post-adolescenza in cui il nostro arrotondava facendo dimostrazioni a domicilio per una ditta distributrice di aspirapolvere. È anche l'album della maturazione di tutta la band, lo zenit artistico raggiunto rappresenta tutt'oggi una sorta di Stella Polare nel firmamento del Rock alternativo.
Al primo ascolto l'album si materializza come una parete verticale da scalare in freeclambing. Quasi un invito a lasciar perdere rivolto a coloro che si fanno intimorire dalla sua bizzarra complessità. Soltanto alcuni ascolti ripetuti, aiuteranno ad eseguire uno zoom-out sulla complessità dell'opera. I primi due brani sono due autentici fulmini: voce da bluesman cattivo, batteria che picchia in controtempo, intrecci inestricabili di chitarre in FROWNLAND; mentre la successiva THE DUST BLOWS FORWARD 'N THE DUST BLOWS BACK introduce la lirica strampalata ed intellettualmente priva di senso di BEEFHEART: la sua voce fluttua liberamente nello spazio in
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
solitudine, priva di accompagnamento. Segue DACHAU BLUES, commemorazione Beefheartiana in chiave di bizzarria blues, della tragedia degli Ebrei morti nei campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale. ELLA GURU propone scariche di accordi di chitarra stemperate dalle ritmiche impossibili della batteria al limite del rompicapo. Il brano è un susseguirsi frenetico di figure musicali controllate al limite dalla voce di BEFFHEART. La forma simil-Blues intravista nei brani precedenti viene abbandonata nella "prima infornata di una torta di capelli" ovvero HAIR PIE: BAKE 1 proposta in TROUT MASK REPLICA in due "infornate" (la BAKE 2 è la track numero 14). Due cacofonie strumentali che rappresentano una lotta tra caos e ordine, un inno alla libera espressione della musica. L'accoppiata tra la voce del CAPITANO e la chitarra di JIMMY SEMENS aprono acide, al limite del registrabile MOONLIGHT IN VERMONT una blues song ruvida e senza respiro. La successiva PACHUCO CADAVER miscela una languida parlata di BEEFHEART con le texture delle chitarre disciolte dal tempo jazzato dei cymbal della batteria. Discorso ripreso da BILLS CORPSE cantata un'ottava più alta. La forma canzone Rock è ormai arrivata alla completa destrutturazione, si intravedono l'anima e lo scheletro di TROUT MASK REPLICA: il nono brano SWEET SWEET BULBS è un poema schizofrenico cantato sopra caotiche linee melodiche. Sopra l'orgia delle vibrazioni dei saxofoni stazionano le liriche di NEON MEATE DREAM OF AN OCTAFISH, preambolo alla successiva CHINA PIG: registrazioni Lo-Fi, chitarra semiacustica suonata da DOUG MOON (special guest) e un minimo accenno di Country Music. Si riparte con MY HUMAN GETS ME BLUES, le cui liriche lasciano trasparire un discorso filo ecologista che verrà ripreso nel corso dell'album (Continua a pagina 4)
|
|
|
|
|
|