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nordafricane. Un album che ha il colore della terra e l'odore dell'incenso. Un'iperbole di suoni e musica che incrocia villaggi Tuareg, danzatrici del ventre ed incantatori di serpenti, galleggiando su gelatinose atmosfere di deciso sapore etnico nordafricano. L'album sublima un'idea di musica globale che cortocircuita i connotati delle avanguardie Jazz (l'Hard Bop delle formazioni mingusiane e le dipartite Free del Coltrane più ispirato) con culture musicali di derivazione etnica. Un sound agganciato ad un conteso Naïf piuttosto che riconducibile a modelli standard (ma il Jazz non è forse, tra le arti musicali la più Naïf?). Un sound, quello del trio, dipinto sulla spinta di bisogni interiori e personali, affidato alla pura comunicatività ed espressività cromatica dei suoni. Il sax (o, secondo i casi, il clarinetto) è il solista principale, ma sono gli incroci, i rilasci e le sovrapposizioni con il violino ad imporre i chiaro - scuro al contesto. Il motore ritmico, il contrabbasso di Tachibana, è il complemento fisiologico naturale delle lucidissime escursioni dei solisti; capace di tessere pastosi orditi armonici di altissimo carico emotivo. Un sound originale (nessun dubbio), accattivante (mai ruffiano), granitico (in equilibrio tra lo sfarzoso e lo spartano). L'album è stato registrato dal vivo, in un jazz club di Osaka, durante la permanenza giapponese della band nella primavera del 2001, in una serata con i tre veramente al massimo dell'ispirazione, con i loro bioritmi perfettamente sincronizzati. Il disco apre con le sciabolate arabeggianti di Saharawi: un sax ipertonico artiglia e rilascia il tema del brano sopra le infrasonore pulsazioni ritmiche del basso. Nel finale esplodono, goliardiche, le voci dei musicisti per la loro personale rincorsa alla melodia del brano. Saharawi è il nome della popolazione sviluppatasi ed insediatasi nel corso del XII secolo, nel Sahara Occidentale a seguito dell'integrazione tra
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nomadi provenienti dall'Arabia e le locali tribù berbere. Il brano è dedicato a questo popolo che, dopo aver subito, nel corso della propria storia, le scorribande ed i soprusi di spagnoli, francesi, marocchini, e mauritanesi, dopo un riconoscimento "semiufficiale" da parte dell'ONU, è tutt'oggi in attesa di riscattare i propri diritti e la propria autonomia. L'improvvisata Blue inizia con le note fumose da adagio orchestrale di sax e violino, per poi accostarsi ad atmosfere più jazzate fino a sfumare nel finale affidato ad Ohta con la sua parte vocale in turco. Anche la successiva Bekaa è un esplicito richiamo dal forte significato politico. Il titolo del brano è quello della valle libanese teatro di feroci scontri tra miliziani palestinesi e Forze Progressiste Nazionaliste (una sorta di specchio di tutta la contesa arabo - israeliana). I tre interpretano con il loro linguaggio la drammatica amarezza di questa vicenda. Actis Dato ed Ohta spremono tutte le tonalità dai loro strumenti: scoppiettii, estemporanee percussioni, colpi di lingua, vocalizzi soffocati e aspre spirali melodiche emulano il suono delle raffiche di mitragliatrice. Un brano irrequieto, ricco di pathos, con passaggi ridondanti che si agganciano all'inarrestabile ciclicità del dramma. Deliziosi i virtuosismi del contrabbasso nel finale. L'altra improvvisazione di Orange staziona ancora su elementi del folklore arabico. La melodia del clarinetto di Actis Dato e i vocalizzi di Ohta galleggiano sopra una ritmica liquida e risonante. Morning Sikness, brano scritto da Tachibana, evidenzia gli inviluppi ritmici del suo strumento trascinando le dipartite melodiche del sax e le eteree acrobazie del violino. Yellow è una breve improvvisazione con Actis Dato che, rincorso da un incredulo violino, sembra suonare tutto quello che gli passa in mente: dalla melodia din - don - dan di San Martino Campanaro alle Nozze Di Figaro. La seguente Ile De Gorèe, ritorna su un contesto (Continua a pagina 3)
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