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dello strumento possa influire sul risultato interpretativo di uno stesso esecutore. E Baglini coglie questa occasione per dimostrare la sua duttilità pianistica e musicale, reagendo con sensibilità e gusto alle differenti risposte dinamiche e timbriche del Lange e del Pleyel. Dote ancor più lodevole se si considera che l'esecutore non è un "fortista" a tempo pieno, svolgendo infatti la quasi totalità della sua attività concertistica su pianoforti moderni.
La presa del suono risulta molto buona, considerate anche le difficoltà che sorgono quando si utilizzano strumenti d'epoca. Non si può naturalmente pretendere la precisione dinamica ed esecutiva ottenibile su un pianoforte moderno. Ma, tra tante incisioni perfette e poco ispirate, c'era sicuramente bisogno di una lettura fresca ed originale come questa, che unisce alla consapevolezza filologica una spiccata individualità artistica.
Roberto Prosseda
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