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MUSICA CLASSICA | Fryderyk Chopin - Etudes Vari Studi. Maurizio Baglini, piano  1 | 2 | 3   

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all'interprete di ottenere un esemplare nitore nelle trame contrappuntistiche, con una precisa collocazione spaziale delle varie voci.

Grazie a queste caratteristiche, Maurizio Baglini riesce a rispettare fedelmente le indicazioni metronomiche e di pedalizzazione prescritte da Chopin, senza mai, peraltro, rinunciare alle proprie originali intenzioni espressive.
Meritano certamente un elogio le letture degli studi "lenti" op. 10 n. 3 e n. 6, qui eseguiti al tempo suggerito dall'autore, molto più rapido di quello adottato nella maggior parte delle interpretazioni moderne. La plasticità della linea melodica assume così una nuova chiarezza, ed il discorso musicale procede sempre con coerenza e fantasia, toccando vette di forte intensità emotiva. I limiti della meccanica del Lange, priva del "doppio scappamento", emergono in alcuni passaggi veloci, soprattutto nelle note ribattute dell'op. 10 n. 7, che non possono essere eseguite con lo slancio e la fluidità ottenibili su un pianoforte di oggi.

Lo strumento scelto per gli studi op. 25 e per i tre dell'op.postuma è, invece, un Pleyel (modello prediletto da Chopin, sin dal suo arrivo in Francia nel 1831), con un suono più pastoso rispetto al Lange, e con minori differenze timbriche tra i vari registri. Baglini ne sfrutta al meglio le risorse dinamiche per ottenere affascinanti ombreggiature di colore e subitanei sbalzi espressivi, rendendo perfettamente, ad esempio, tutte le sfaccettature cromatiche dell'op.25 n. 2.  Nell'op. 25 n.7 il pianista sceglie un tempo sensibilmente più rapido di quello a cui siamo abituati e restituisce una maggiore unità alla composizione, con un "rubato" suadente e naturale. Anche il Pleyel non è privo di limiti meccanici, che emergono soprattutto nell'op. 25 n. 12, studio particolarmente turbinoso e magmatico, che esigerebbe una risposta più rapida della tastiera per essere reso in modo

ottimale.

L'esecuzione sul Pleyel dei Trois Nouvelles Études op. postuma risulta, invece, particolarmente convincente, specie per la naturale liberta del fraseggio di Baglini, che asseconda sempre i valori musicali della partitura. Esemplare la chiarezza della trama polifonica, ottenuta anche con una leggera sfasatura ritmica delle voci sovrapposte. Questo espediente, tanto ingiustamente demonizzato da certe scuole accademiche, consente una felice esposizione del contrappunto chopiniano, e restituisce alle singole linee la loro peculiare indipendenza. Eccellente la varietà del gioco timbrico, che proietta idealmente i Trois Nouvelles Études verso le successive conquiste dell'impressionismo francese.

In generale, l'approccio interpretativo di Baglini è coerente con quello della sua precedente incisione.
Sul mero sfoggio del dominio meccanico della tastiera prevalgono, cioè, la ricerca coloristica e la tendenza a valorizzare il fascino del dettaglio, senza peraltro nuocere alla chiarezza formale.

Sulla scelta dei due diversi strumenti ci sarebbe da discutere molto a lungo. L' op. 10 è stata composti dal 1829 al 1834, e l'op. 25 dal 1834 al 1836: a distanza, cioè, di pochissimi anni. Le date di fabbricazione dei due pianoforti, invece, sono separate da 19 anni, e soprattutto, al di là dello scarto cronologico, il Lange e il Pleyel riflettono due concezioni timbriche e costruttive sensibilmente lontane. Era opportuno, dunque, distinguere così marcatamente la resa sonora dell'op 10 da quella dell'op. 25? Forse, nonostante le premesse, sì. Innanzitutto, per offrire all'ascoltatore una rara e preziosa occasione di confronto, da cui trarre interessanti informazioni stilistiche e filologiche. In secondo luogo, anche per constatare quanto la diversità


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