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sul palco un organetto elettrico, modello da supermercato; Vinicio lo ammira commosso; è commosso perché la vista di questo "farfischio" (così lui lo chiama) gli fa tornare alla mente la sua gioventù nella quale possedere un farfischio tutto per sé, rappresentava il primo dei desideri. È così che, con gli occhi traboccanti di emozioni, onorato dalla presenza di questo oggetto, Vinicio ci suona la canzone allegra per eccellenza: la Samba. Il rapporto con il pubblico, intanto, diventa diretto, intimo; Vinicio, oltre che cantante, si scopre (si conferma) un teatrante, un cabarettista, un session man a trecentosessanta gradi: un'italica miscela tra la bizzarria Zappiana con la classe visionaria di Tom Waits ed il decadentismo maledetto di Nick Cave. Lo spettacolo prosegue con un Jingle Bell intonato in dialetto napoletano nel quale viene presentata tutta la band che improvvisa sul tema della canzone del "Campanello Tintinnate": a 'mo di compari, Capossela presenta tutti i suoi "grandi direttori d'orchestra" (come lui stesso li definisce) ed ecco che l'organo diventa "fischia-a-letto", il vibrafono la "xilofana" e via discorrendo. Il suono intanto, si sta assestando su un suo livello medio di mediocrità e quasi tutti con rassegnazione (e in accordo alle leggi della psicoacustica), lo stiamo metabolizzando. Breve pausa e Vinicio si ripresenta sul palco per Acida. Si ripresenta con un alberello di natale in testa, visibilmente ingrassato dalle abbuffate natalizie, con una terribile acidità di stomaco residua (un cuscino sotto il vestito simula una "panza smisurata"). Arriva poi una confidenza, una verità shockante da svelare. Si parla dei Re Magi: "sapete che loro - ci dice Capossela - non venivano da Oriente, ma da una italianissima stradella chiassosa e sgangherata, venivano dalla Contrada Chiavicone" così, tra sax e flauto, inizia il brano omonimo. Il pubblico è sempre caldissimo: quattro o cinque persone si alzano ed improvvisano un trenino tra le poltroncine del teatro, mescolando le loro ombre alla coreografia. Altri si uniscono a questo rito un po' troppo invadente. Così invadente da costringere Vinicio ad interrompere e chiedere alle persone in piedi il favore di rimettersi seduti e fare silenzio. La tregua è breve e la successiva Al Veglione riaccende la miccia dell'entusiasmo con ancora il pubblico in piedi per ballare. Segue una parentesi coreografica con finti fuochi d'artificio quindi, nuovamente scatenati per i due minuti della Polka Di Warsava. L'intensità diminuisce per qualche minuto quando, in un'atmosfera ovattata, Vinicio si siede di nuovo al piano per Suona Rosamunda. È accompagnata da congas appena carezzate, mentre un faro
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schiaccia sulle pareti del teatro l'immagine volteggiante di una rosa colorata. Poi le congas cedono l'accompagnamento alle vibrazioni delle maracas per il dolcissimo Resta Con Me. La session ufficiale termina subito dopo con le note di All'una E Trentacinque Circa: una pioggia di coriandoli innaffia il palco e, tra gli applausi, Capossela ringrazia tutti: ringrazia Giuseppe Verdi, per aver prestato il nome al teatro; i transatlantici, per averne ispirato l'architettura. Ringrazia il pubblico, il tecnico delle luci ed il primo amore della nostra vita; ancora applausi, saluti, inchino e tutti scompaiono. Il pubblico logicamente non ci sta ed invoca a gran voce i bis. Rientrano tutti per Il Ballo Di San Vito. Il brano è arrangiato in modo completamente diverso dalla versione dell'album (è anche, ahimè, completamente devastato dall'impianto audio). È un Ballo Di San Vito acido, quasi psichedelico, con i saxofoni sul registro della cornamusa. Poi Vinicio rimane solo, si siede nuovamente al piano, spalle al pubblico, per l'altro bis: la mielata Resto Qua che al termine, paradossalmente, lo vede alzarsi, salutare tutti in maniera definitiva e congedarsi dai suoi fan. Arriva l'ombra di una stella cometa sul sipario, arrivano le luci in sala ed è "The end". Le impressioni sulla serata sono logicamente contrastanti: l'esibizione è stata senza dubbio maiuscola, ma l'audio era veramente scarso…. Tecnicismi a parte, Vinicio Capossela è comunque un grande, ne abbiamo avuto la conferma, su questo nessuno può obiettare.
Luca Buti
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